sabato 20 dicembre 2008

Tre Scenari per una Crisi

di Alfonso Desiderio - carte di Laura Canali

L'attuale crisi finanziaria è anche una crisi geopolitica e in particolare del sistema americano globale. Limes ipotizza tre ipotesi alternative: Chimerica (nuovo accordo Usa e Cina); Chimerica + EuRussia (nuova Bretton Woods globale con G8 e paesi emergenti); il caos con l'inasprimento degli squilibri e dei conflitti in corso.

http://temi.repubblica.it/limes/tre-scenari-per-una-crisi/

L'Impero a Credito


di Alfonso Desiderio - carte di Laura Canali

L'egemonia americana fondata sull'afflusso di risorse esterne – merci, capitali, energia, soprattutto dall'Asia – è in crisi. Il credito altrui si spiega con il riconoscimento del primato degli Stati Uniti in quanto garanti del sistema internazionale, ma l'America non può più permettersi di convivere con un colossale debito estero e altrettanto significativo deficit pubblico. Il sistema americano è un sistema mondiale e quindi la crisi è una crisi di tutti. Si è aperto un conflitto globale in cui chi può cerca di scaricare sui più deboli le conseguenze negative o di approfittare delle disgrazie altrui

Fenomenologia delle Crisi

I crac finanziari e le crisi economiche sono stati eventi frequenti nella storia economica dell’Occidente. Federico Rampini ne traccia una lunga storia che parte dal crollo della Borsa di Amsterdam nel 1637, per giungere fino all’attuale crisi dei subprime, passando per quello che rimane il momento economicamente più critico del nostro secolo: il Black Tuesday del 1929.
Da allora, nonostante le politiche keynesiane e l’avvento del Welfare State, le crisi finanziarie si sono susseguite alimentate ogni volta dagli stessi meccanismi di speculazione.

Secondo Rampini, le differenze principali fra i tracolli finanziari del passato e quelli attuali stanno nella maggiore rapidità e nel maggior impatto sociale dovuto al coinvolgimento degli investimenti delle famiglie.Insolvenze, bolle, crisi finanziarie. Tremano le fondamenta dei santuari del capitalismo. Tra speculazioni e sfiducia l’Occidente si interroga su cosa occorre fare per evitare la catastrofe.[...]

Proprio come le catastrofi naturali, i crac finanziari sono ricorrenti, quindi terribilmente scontati. Fanno parte del funzionamento fisiologico del capitalismo. Anzi, le loro origini risalgono al proto-capitalismo, visto che uno dei crac più celebri della storia fu il grande panico del febbraio 1637 alla Borsa di Amsterdam, quando dopo due anni di speculazioni forsennate crollarono di colpo le quotazioni dei futures sui bulbi di tulipani. La storia si ripete con analogie impressionanti.

Quel che cambia nei crac più recenti è l’ordine di grandezza delle ricchezze distrutte, quindi la platea delle vittime. Si infittisce l’interconnessione tra tutti i settori dell’economia, e tra nazioni molto lontane. Cresce il risparmio popolare investito in strumenti finanziari, nonché la previdenza privatizzata che affida i suoi capitali alle Borse, alle banche, alle assicurazioni. Potenzialmente l’impatto sociale dei crac si fa quindi sempre più profondo: ma per la stessa ragione si è irrobustito l’armamentario delle politiche economiche per attutirne le conseguenze.

Infine, grazie alle tecnologie, i crac di oggi hanno ritmi sempre più rapidi. Le crisi di una volta sviluppavano i loro sussulti nell’arco di molti mesi; oggi possono conoscere capovolgimenti straordinari in poche ore. Un annuncio fatto a New York si ripercuote in millesimi di secondo sugli indici di Shanghai e Tokyo, Londra e Mosca.
Visto che oggi l’epicentro di una drammatica crisi finanziaria è in America, va ricordato che la nascita stessa degli Stati Uniti fu tenuta a battesimo da un crac. Il primo presidente, George Washington , era al suo primo mandato quando dovette fronteggiare il primo panico finanziario. All’origine vi fu la spregiudicata speculazione sui titoli pubblici emessi durante la guerra d’indipendenza dagli Stati del Massachusetts e della South Carolina. Nel marzo del 1792 la “bolla” scoppiava, costringendo la neonata nazione a misure di emergenza. Il segretario al Tesoro Alexander Hamilton diede disposizione alle banche di accettare anche titoli scadenti come garanzie per far prestiti e sostenere l’attività economica: qualcosa di molto simile ai vari sportelli d’emergenza creati dalla Federal Reserve di Ben Bernanke in questi mesi per provvedere liquidità al sistema.Se da oltre due secoli i crac in America colpiscono puntuali come gli uragani, anche la loro dimensione internazionale non è del tutto nuova.

Centouno anni fa il grande panico del 1907 fu la prima crisi “globale” del Novecento. Nel solo mese di ottobre l’indice azionario di Wall Street perse il 37% del suo valore, in tutta l’America folle di risparmiatori diedero l’assalto agli sportelli delle banche fra scene di violenza e di disperazione, il sistema del credito rimase paralizzato per settimane. La “tempesta perfetta” di quell’anno ebbe per protagonisti dei giganti della storia, dal presidente Theodore Roosevelt al banchiere J.Pierpont Morgan. Le ripercussioni furono immediate e profonde anche in Europa, e l’Inghilterra dovette accorrere in aiuto agli ex sudditi americani con una spedizione navale di lingotti d’oro. L’eco di quegli avvenimenti non si è mai spenta.

La proverbiale superstizione degli investitori chiamò in causa la “maledizione del 1907” quando Wall Street subì un’altro dei peggiori crolli della sua storia, il 19 ottobre 1987, con una caduta del 23% dell’indice Standard & Poor’s 500. Già nel 1908 il finanziere Henry Clews nelle sue memorie indicava tre cause principali del disastro dell’anno precedente che suonano familiari: «L’eccesso di investimenti nel mercato immobiliare; il credito facile; le manipolazioni dell’alta finanza».

Il crac più nefasto resta quello del 1929. Non solo per la violenza della caduta subìta dall’indice Dow Jones, che perse il 13% nella sola seduta del 28 ottobre, seguito dal botto finale nel successivo Black Tuesday, il 29. In realtà a fissare nella storia la gravità di quel crollo furono gli eventi successivi. Per gli errori commessi nella politica monetaria e nella manovra economica del presidente Herbert Hoover, il collasso di Wall Street contribuì a innescare una spirale di protezionismi, la caduta del commercio internazionale, infine la Grande Depressione. Nel 1931 la Borsa americana aveva perso l’89% del suo valore dai massimi del 1929 ma ben più gravi furono le conseguenze sociali. Il mondo intero fu prostrato dalla deflazione: i prezzi agricoli scesero del 40-60%, salari e produzione industriale precipitarono, il tasso di disoccupazione in America arrivò al 25% nel 1933. Quattro anni dopo il crac di Wall Street, nel 1933 in media mille americani al giorno subivano il sequestro giudiziario della loro casa per insolvenza. La miseria di massa e le tensioni sociali contribuirono all’avvento del nazismo in Germania. La gravità di quella crisi ispirò innovazioni di portata storica: il New Deal di Franklin Delano Roosevelt pose le fondamenta del Welfare State, delle politiche keynesiane di sostegno dell’occupazione, dei grandi programmi di investimento statale nelle infrastrutture. Ma fu solo l’incremento di produzione bellica legato alla seconda guerra mondiale a “curare” definitivamente la più lunga recessione del XX secolo. Nel dopoguerra in America il crac più celebre fu quello delle Savings and Loans. Una crisi bancaria prolungata per anni.

Fra il 1986 e il 1995 quasi la metà delle 3.234 casse di risparmio dovette chiudere per bancarotta. Nel 1989 il Congresso creò un’apposita agenzia federale, la Resolution Trust Corporation, per accollarsi le perdite, rimborsare i depositanti, assorbire i portafogli-titoli degli istituti falliti, e indagare sulle responsabilità del disastro. In quanto liquidatore fallimentare il governo federale si ritrovò temporaneamente proprietario dei più disparati oggetti che i clienti avevano fornito come garanzia alle banche per ottenere fidi: nella Resolution Trust Corp. finirono tra l’altro quadri di Picasso e Andy Warhol, una distelleria di whisky dell’epoca coloniale, e 800 boccette refrigerate di sperma di un toro Brahma da riproduzione.

I crac più recenti sono ancora freschi nella memoria: gli scossoni provocati da choc internazionali come l’insolvenza del Messico (il crac dei Tequila Bonds nel 1995), la crisi finanziaria dei dragoni asiatici nel 1997, la bancarotta della Russia nel 1998. [...] Le lezioni che ci insegna la storia dei crac sono straordinariamente semplici.

Tre costanti si ripetono da secoli. Ogni disastro finanziario è preceduto immancabilmente da una “bolla”, un periodo di eccessi speculativi. Ogni bolla è alimentata da condizioni di lassismo monetario, credito facile, e la convinzione di masse di investitori che una certa categoria di investimenti è destinata al rialzo infinito. Che si tratti di immobili, di azioni o di petrolio, ci sarà sempre una “teoria” per dimostrare l’assoluta razionalità di quotazioni assurde ed eternamente crescenti.
La seconda costante storica: ad ogni crac che si rispetti segue un periodo di riforme, elaborazione di nuove regole, maggiori divieti e controlli.

La terza costante: appena varate le nuove leggi si scatena la gara per aggirarle e preparare l’avvento della bolla successiva.

Federico Rampini per La Repubblica , 02/10/08

Fmi: La peggiore crisi dal 1930, Italia in recessione nel 2009

Nel suo ultimo Rapporto sull’economia mondiale, il Fondo monetario internazionale non usa mezzi termini e definisce la crisi economica di questi mesi come “la peggiore dal 1930”. Il Fondo descrive un’economia globale che rallenta dal +5% del 2007 al +3,9% del 2008, per frenare ancora a +3% nel 2009, un ritmo che molti esperti considerano l’orlo della recessione. Secondo gli analisti del Fondo “l’economia mondiale sta entrando in una crescente depressione economica a causa del più pericoloso shock finanziario per le economie avanzate dagli anni

Trenta”. Nel luglio scorso il Fmi stimava l’economia mondiale in crescita del 4,1% nel 2008 e del 3,9% nel 2009. Ora però molte cose sono cambiate. “Molte economie avanzate - si legge nel rapporto - sono vicine, o già entrate in recessione, mentre la crescita nelle economie emergenti si è indebolita”. La colpa e’ soprattutto della crisi finanziaria, la quale, dopo il collasso dei subprime ad agosto del 2007 è “peggiorata negli ultimi sei mesi” ed è entrata in una “nuova tumultuosa fase a settembre”. “Non c’è in vista una ripresa - si legge nel rapporto - e quando arriverà sarà graduale”. Tuttavia il Fmi prevede che “una graduale ripresa dovrebbe emergere verso la fine del 2009”. Tre i fattori trainanti: i prezzi delle materie prime, che si stanno stabilizzando, la crisi del settore immobiliare Usa, che dovrebbe toccare il fondo alla fine del 2009 e i paesi emergenti, che continuano a fare da traino. Il Fmi prevede che l’economia Usa crescerà dell’1,6% quest’anno, lo 0,3% in più rispetto alle stime di luglio, ma rallenterà vistosamente nel 2009, salendo solo dello 0,1%, lo 0,7% in meno rispetto a luglio. In forte frenata l’Eurozona che crescerà solo dell’1,3% quest’anno (-0,4% rispetto a luglio) e appena dello 0,2% nel 2009 (-1% rispetto a luglio). Tra le economie europee, l’Italia è tra i peggiori, superata solo dall’Irlanda. Il nostro paese nel 2008 e nel 2009 entrerà in recessione e il Pil si contrarrà rispettivamente dello 0,1% e dello 0,2%. Male anche la Germania che secondo il Fondo crescerà dell’1,8% quest’anno e registrerà una crescita zero il prossimo, mentre la Francia vedrà il suo Pil salire solo dello 0,8% e dello 0,2% nel 2008 e nel 2009. In frenata la Gran Bretagna, la cui economia e’ prevista ancora in crescita positiva dell’1% quest’anno e in crescita negativa dello 0,1% l’anno prossimo. Fuori dall’Europa in frenata il Giappone, il cui Pil passerà dal +2,1% del 2007 a +0,7% nel 2008 e a +0,5% nel 2009. La Cina vedrà il suo Pil stellare contrarsi leggermente e passare dal +11,9% dell’anno scorso a +9,7% e +9,3% quest’anno e il prossimo. Anche l’India rallenterà passando da 9,3% a +7,9% nel 2008 e a+6,9% nel 2009. “Guardando avanti - si legge nel World Economic Outlook - le condizioni finanziarie resteranno molto difficili, restringendo le prospettive di una crescita economica globale”. “Secondo lo scenario di base - prosegue il rapporto - le azioni delle autorità Usa ed europee riusciranno a stabilizzare le condizioni finanziari e ad evitare ulteriori eventi sistemici. Tuttavia, anche avremo un’applicazione vincente del piano Usa che punta a rimuovere dai bilanci le attivista’ più pericolose, i rischi di controparte resteranno a livelli eccezionalmente alti per qualche tempo e rallenteranno un ritorno a un mercato finanziario più liquido”. “Tuttavia - si legge ancora - sono molto probabili altre perdite nel settore del credito, mentre l’economia decelera. In questa situazione, la capacità delle istituzioni finanziarie a rastrellare nuovi capitali restano molto difficili e i limiti alla creazione di credito continueranno almeno per tutto il 2009”.

Le misure anti crisi del governo Berlusconi

In una recente riunione Berlusconi ha dichiarato che il governo ha a disposizione 35 milioni di euro da assegnare alle famiglie numerose per i nuovi nati. Si tratterebbe di 5.000 euro da restituire poi con un interesse del 4% da reperire in un fondo nella disponibilità del sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Carlo Giovanardi.

Nulla per ora sulla detassazione delle tredicesime. Il governo ha detto che "deve fare i conti" sottolineando che le risorse sono scarse.
Per il resto, l'invito del presidente del Consiglio ad essere ottimisti e una presa d'atto delle proposte avanzate dalle associazioni datoriali: oltre alla detassazione delle tredicesime, cara in particolare alle associazioni del commercio, la richiesta di agevolazioni fiscali per le imprese che reinvestono gli utili, arrivata da Confindustria. Ma il governo ha detto che "deve fare i conti" sottolineando che le risorse sono scarse.
Inoltre il ministro dello Sviluppo Claudio Scajola ha detto che in un settimana sarà sbloccato il fondo da 600 milioni per il credito alle imprese in difficoltà stanziato dal governo Prodi ma bloccati dalla Corte costituzionale. Silente il ministro dell'Economia Giulio Tremonti che si è limitato a prendere nota delle richieste.
La presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, ha detto che le imprese - pur consapevoli della congiuntura difficile - chiedono di essere sostenute con la detassazione degli utili reinvestiti nella capitalizzazione dell'impresa, un aumento del tetto automatico dei crediti d'imposta da 516.000 a un milione e l'innalzamento al 40% del tetto per la deducibilità degli interessi passivi.
Quanto a possibili ulteriori interventi del governo a favore delle banche, Marcegaglia ha detto: "Crediamo che le banche possano essere rafforzate Ma è importante che non ci sia ingerenza della politica e che mantengano la loro struttura privatistica. E' però vero che un intervento, come gli altri paesi, può essere utile"
A chi chiedeva se le banche avessero dato garanzie sul credito, Marcegaglia ha detto: "Da Faissola è arrivato un impegno molto forte a sostenere il credito. Domani abbiamo il secondo tavolo con le banche sui confidi e la pubblica amministrazione".
All'incontro hanno partecipato, oltre a Berlusconi, Tremonti e Scajola, il sottosegretario alla presidenza Gianni Letta, i ministri delle Infrastrutture Altero Matteoli, della Funzione pubblica Renato Brunetta.

Le politiche contro la depressione

Nel '29, per uscire dalla crisi i Paesi colpiti adottarono quasi tutti le stesse politiche, ispirate ai principi keynesiani e quindi a un maggior intervento dello stato in economia. Ma non subito. I governanti tardarono a intervenire, perchè legati alle concezioni economiche liberali secondo le quali un ingerenza dello stato in economia era ritenuta dannosa. Gli economisti che seguivano l'ortodossia liberale erano convinti che il mercato sarebbe riuscito da solo a riassorbire la crisi e a ristabilire l'equilibrio economico. Lo stato doveva limitarsi a dover assicurare una moneta sana e un bilancio statale in pareggio. I risultati delle politiche liberiste non furono soddisfacenti, e negli Stati Uniti costarono la presidenza al repubblicano Hoover a favore del democratico Franklin Delano Roosevelt. La domanda interna fu sostenuta con la politica del "Deficit Spendig" ( spesa in disavanzo) che si rifaceva alle teorie di Keynes. Lo stato perciò avviò dappertutto una serie di lavori pubblici ( bonifiche, costruzioni di strade, elettrificazione, ecc...), che fornivano beni utili, ma non vendibili sul mercato e che assicuravano una retribuzione ai lavoratori i quali potevano così disporre di denaro da spendere per sostenere i consumi. Negli Stati Uniti l'intervento fu attuato con il " New Deal" (Nuovo Corso) del presidente Roosevelt. Anche in Italia l'intervento dello stato fu particolarmente deciso. Furono portati avanti la " battaglia del grano" e la " bonifica integrale", furono realizzate molte opere pubbliche, si concessero gli assegni familiari ai lavoratori e si estesero le assicurazioni sociali. Nel 1933 fu costituito un ente pubblico, l'IRI ( Istituto per la Ricostruzione Industriale), che assunse le partecipazioni industriali possedute dalle banche salvate con lo scopo di rivenderle successivamente ai privati. Ma solo il riarmo e lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale posero definitivamente fine alla lunga depressione degli anni trenta e si riuscì a riassorbile la disoccupazione.

...e Alcune Differenze

Sono comunque maggiori rispetto ai punti in comune quelli che distinguono ciò che sta succedendo in questi mesi dalla profonda crisi del secolo scorso, aspetti sia tecnici/finanziari che economici, andiamo in ordine:

1. Guardando ai prezzi delle azioni degli ultimi anni ed il percorso di rialzi che ha portato ai massimi del 2007, potremo vedere una ridotta volatilità ed escursioni al rialzo giorno dopo giorno di limitata ampiezza, mentre prima del 29 ottobre 1929 era abitudine osservare azioni che inanellavano +50% in una sola seduta. Persino i rialzi e la volatilità degli ultimi anni '90 e dei primi mesi del 2000 sono stati sensibilmente più intensi dell'intero periodo 2003-2007, in questo senso la eccitazione per la new economy è stato un effetto decisamente più simile alla euforia antecedente il '29.

2. I tassi di interesse in cui è maturata l'attuale crisi sono decisamente diversi da quelli di allora, difatti i tassi degli ultimi anni sono stati circa un ¼ di quelli che giravano alla fine degli anni '20/'30. Inoltre è necessario ricordare che la diffusione stessa dei mercati azionari era minima e non paragonabile all'attuale; di fatto pochi e ristretti mercati azionari nell'intero globo, “alle grida” tra l'altro, contro le decine di mercati “telematici” di oggi, il che comporta un numero di attori, una velocità ed un numero di operazioni neanche lontanamente paragonabile, quasi come accostare un carro di buoi ad una vettura di Formula1. Il contesto economico in cui sono maturate le recenti perdite dei mercati azionari è, a rigore, ancora in fase di crescita, una, seppur limitata, espansione che ben poco ha a che vedere con la grande depressione. Fino a prova contraria la quantità di ricchezza a livello globale continua a crescere ed il FMI ha previsto per il 2008 e il 2009 tassi di crescita globali superiori al 4% annuo, quindi di depressione misurata neanche una traccia.

Il fatto stesso che nel 1929 gli USA fossero il grande volano dell'industrializzazione, è ben diverso dal quadro di una economia globalizzata con un alto numero di paesi industrializzati, sia emergenti che consolidati, che producono e consumano ricchezza, in un contesto di libero mercato diffuso. Ci sono tra l'altro molte realtà che limiteranno i danni derivanti dalla crisi, attori che rimarranno alla finestra cogliendo ogni opportunità di acquisire aziende a prezzi decisamente interessanti, basti pensare alla finanza mediorientale o ai nuovi grandi investitori cinesi che potrebbe fare acquisti sensazionali di grandi compagnie americane in saldo.Grande e sostanziale è la differenza delle contromisure prese a crisi avviata: nel 1929 gli stessi banchieri, per scongiurare una catastrofe, misero mano al portafoglio per fare acquisti pubblici e sensazionali su azioni quotate, passò alla storia quando la J.P. Morgan, insieme ad altri banchieri, durante una seduta proclamò a gran voce i suoi acquisti sui maggiori titoli del NYSE, cercando di diffondere un ottimismo, in realtà mai trasmesso.

In questi giorni invece sono le banche a chiedere aiuto ai governi e alle istituzioni sovranazionali che stanno al momento curando solo i sintomi, iniettando massicce dosi di liquidità per impedire il collasso, ma che dovranno adoperarsi per discutere nuove e più efficaci regole per i mercati cercando di eliminare quegli elementi cancerogeni che l'ingegneria finanziaria ha introdotto negli ultimi anni e riducendo nel complesso sia la speculazione che l'effetto leva ormai sin troppo ampio all'interno del sistema.

giovedì 18 dicembre 2008

Alcune Analogie...

Nel discorso con il quale, il due ottobre scorso, ha caldeggiato l’approvazione del piano Paulson da parte della Camera dei Rappresentanti (850 miliardi di dollari dei contribuenti americani usati per acquistare titoli impossibili da valutare) il presidente George W. Bush ha evocato lo scenario di una “lunga e dolorosa recessione” quale immediata conseguenza dell’inazione. Pur non avendo chiamato direttamente in causa la Grande Crisi americana iniziata con il crollo della Borsa del 1929, il riferimento a quegli anni drammatici è implicito per ogni americano. Vale la pena allora analizzare le due situazioni, mettendo in luce alcune analogie. Innanzitutto tra gli elementi assonanti va registrato il fatto che entrambe le crisi esplodono dopo un lungo periodo di dominio repubblicano. Negli anni che precedettero la Grande Crisi, infatti, si erano succeduti tre presidenti “rossi”, che condividevano una politica improntata al laissez-faire in campo economico e ai tagli fiscali. Negli ultimi trent’anni di governo americano la politica è stata simile: dopo i mandati Ronald Reagan e Bush Sr., lo scettro del potere è stato per due volte nelle mani di Bill Clinton, un democratico che sembrava aver smarrito il lascito delle idee progressiste di un Roosevelt e di un Lyndon Johnson, risultando inoltre neutrale, se non accomodante, rispetto agli eccessi della speculazione finanziaria; a Clinton, come noto, seguono i due mandati di George W. Bush, sul cui totale asservimento ai diktat del potere economico si è detto e scritto talmente tanto che non vale la pena qui aggiungere altro. Altro elemento che accomuna la crisi degli anni Trenta e quella attuale, è che in entrambi i casi sono le fasce più deboli della popolazione, in particolare le minoranze, a soffrirne gli effetti in modo più drastico. Alla fine degli anni 20, il crollo del mercato del cotone sfasciò il diffuso sistema della mezzadria e milioni di afro-americani dovettero emigrare verso i centri urbani del Sud degli Stati Uniti, dove la discriminazione razziale rendeva quasi impossibile l’accesso a nuove opportunità di lavoro e perfino ai programmi di supporto promossi dal governo. Un dato su tutti: circa la metà degli afro-americani e dei latini che hanno acquistato un immobile nel 2005 lo ha fatto attraverso mutui sub-prime (lo stesso indicatore, applicato al sottoinsieme delle persone di razza bianca, non arriva al 20%).Considerazioni politiche ed etiche a parte, allora come oggi la grande sperequazione economica del Paese rappresenta un importante elemento di vulnerabilità del sistema: negli anni 20, nonostante la crescita dei salari, i veri beneficati del governo furono i ricchi, cui vennero concessi importanti sgravi fiscali. Ottanta anni dopo, a pagare il conto è sempre il “Forgotten Man” di cui parlò Roosevelt in un celebre comizio del 1932: l’uomo della strada, che perde il lavoro, la casa, il credito. Il crollo del mercato immobiliare rende illiquide le attività delle banche che alla fine collassano, mentre il paese si avvita in una recessione sempre più drammatica. Così il Forgotten Man, oltre che dimenticato, è pure rovinato e assiste impotente allo spettacolo increscioso di un sistema che usa le sue tasse per salvare le banche, causa principale della sua rovina.

mercoledì 17 dicembre 2008

Il Contagio in Europa

FALLISCE LA POLITICA USA, L'INSTABILITà ORA è GLOBALE
Lunedì 29 settembre è la giornata più convulsa degli ultimi vent'anni tanto a Wall Street che al Congresso di Washington. Nonostante i lunghissimi negoziati preparatori, la Camera USA boccia (con 228 voti contrari, 205 a favore)il pacchetto di salvataggio da 700 miliardi di dollari messo a punto dal segretario al Tesoro Paulson e dal presidente Bush. Un altro voto è possibile non prima di giovedì 2 ottobre, per cercare l'intesa su un nuovo testo,mentre in serata il presidente autorizza il ricorso al fondo di stabilizzazione dei cambi.
A Wall Street la notizia della bocciatura del piano manda la Borsa nel panico: nel "lunedì nero" dei mercato l'indice S&P 500 segna il ribasso più ampio dalla crisi del 1987, mentre già le borse europee avevano perso tra il 4 e il 5% per i timori sulla solidità di alcune grandi banche.
Nessuno si aspettava che il fallimento sistemico in America potesse venire dalla politica,ma è così: sia Barack Obama che John McCain chiedono ai loro partiti di cooperare,ma si perde tempo prezioso. Già il ritardo di una settimana porta alla chiusura di Wachovia, la quarta banca americana, rilevata il 28 settembre in extremis da Citigroup. Il voto sul piano che doveva soddisfare entrambi i partiti è clamorosamente fallito: non solo da destra si oppongono motivazioni ideologiche contro l'intervento dello Stato sul Mercato, ma da parte democratica si aggiungono 95 "no" che ritengono il pacchetto confezionato dall'Amministrazione repubblicana per salvare Wall Street e i banchieri ingordi che hanno guadagnato alle spalle della classe media americana.
Dopo giorni di negoziati febbrili con la modigica del piano Paulson, mentre i mercati restano in uno stato di attesa vicina alla fibrillazione, venerdì 3 ottobre il piano Bush diventa legge, varando complessivamente un piano di salvataggio delle banche e di sostegno all'economia di 850miliardi di dollari.
Ma i mercati non credono più alle rassicurazioni della politica: il 6 ottobre, nonostante il piano Usa, sia varato, i listini mondiali si trovano ad affrontare un nuovo "lunedì nero". Le borse globali bruciano 2.200 miliardi di dollari, con in testa ai ribassi i titoli bancari, petroliferi e delle tlc.
LO TSUNAMI DI OTTOBRE SULLE BORSE MONDIALI, IN UN ANNO BRUCIATI 25MILA MILIARDI DI DOLLARI
L'autunno del 2008 per le Borse mondiali rappresenta il peggior periodo dal 1933. L'indice S&P 500 di Wall Street, ritenuto il principale termometro della stato di salute della finanza mondiale, segna rialzi e ribassi di un'ampiezza unica nella storia, e gli esperti internazionali hanno ormai ben chiaro che la crisi finanziaria si sta per trasformare in una recessione globale.
La settimana dal 6 al 10 ottobre sarà ricordata per l'ondata di "panic selling", le vendite da panico: un vero tsunami che non riguarda solo Wall Street, ma anche gli altri principali indici mondiali che sono in profondo rosso. Secondo la Federazione Mondiale delle Borse (Wfe), la capitalizzazione complessiva dei listini azionari di tutto il mondo ha segnato una perdita di poco meno di 21mila miliardi di dollari: una volta e mezzo il Pil degli Stati Uniti. Nel solo mese di settembre sul falò del panic selling sono stati bruciati quasi 6.850 miliardi di dollari, portando la distruzione complessiva a 25.000 miliardi di dollari nell'ultimo anno.
LA PARALISI DELLA LIQUIDITà SCONVOLGE IL CREDITO EUROPEO
"Abbiamo tutti sottostimato gli effetti di questa crisi", confessa l'amministratore di uno dei più importanti hedge fund di Londra.
Ma cosa è in effetti peggiorato a tal punto da far precipitare le cose?
Il prezzo degli Abs, ossia di quella carta tossica costruita sui mutui casa, nell'avvio della settimana dal 6 al 12 ottobre è rimasto più o meno lo stesso, e il costo dei credit default swap è salito di poco,non si può insomma dire che siano emerse altre improvvise svalutazioni nelle attività delle banche.
Che il sistema,nel processo di pulizia,non fosse ancora a metà del guado lo si sapeva. Ma i salvataggi effettivi da parte dello Stato di Fannie Mae e Freddie Mac e quello "virtuale" di Aeg, uniti al fallimento di Lehman, e al tracollo di Wachovia, più che creare nuove passività hanno minato la credibilità stessa del sistema, innescando una corsa a ritirare i depositi presso le banche USA e britanniche e congelando di fatto il mercato interbancario. Nessuno presa più soldi a nessuno ,mettendo in difficoltà anche le operazioni delle banche più sane che non riescono più a gestire i normali flussi di tesoreria.
A tutto questo si è aggiunta la crisi di credibilità verso le autorità finanziarie e politiche americane ed europee, viste le polemiche, i silenzi e gli scoordinati provvedimenti presi dai Governi nel Vecchio continente. Per le istituzioni finanziarie la fiducia è il fattore principale. Si spiega pertanto l'impennata dei tassi Libor,mentre i rendimenti dei titoli di Stato stanno calando ai minimi storici,sulla spinta di un enorme flusso di domanda in entrata da parte di tutti. Gli investitori istituzionali, grandi e piccoli,come anche i risparmiatori in fuga da titoli rischiosi e in cerca di sicurezza nell'unico porto rimasto, quello dei titoli garantiti dallo Stato.
Al di là degli accresciuti timori di una imminente recessione, le azioni hanno finito per rappresentare l'attività finanziaria più tartassata: direttamente, perchè la sfiducia porta a liberarsi dei titoli bancari e assicurativi; indirettamente , perchè le Borse sono rimaste (oltre ai titoli di Stato) uno dei pochi mercati funzionanti. Con quello monetario ormai inesistente, per chi deve o vuole fare liquidità la vendita di azioni rappresenta la sola soluzione praticabile.
fonte "ilSole24ore"

Le Cause del Crollo in America in 8 Passi

La crisi economica che stiamo vivendo ha radici lontane. Nell'ultimo decennio i Paesi economicamente sviluppati hanno visto una crescita accelerata dei debiti delle famiglie, in primo luogo negli Stati Uniti ma anche nel Vecchio Continente.
Questa enorme massa di debiti è stata finanziata dalle banche che, in questo processo, hanno sostenuto i consumi, consentendo alle imprese di produrre di più. In parallelo, però, per il sistema bancario sono aumentati i rischi che i debitori,stretti da un potere d'acquisto eroso dall'inflazione e la distribuzione sempre più ineguale della ricchezza, non riuscissero più a fare fronte ai propri impegni. Con la finanza "innovativa" banche e assicurazioni si sono scambiate l'un l'altra questi rischi, finendo per distribuirli negli investimenti dei risparmiatori. Il meccanismo è stato sottoposto a tensioni crescenti e alla fine non ha retto.

1) FINITA L'EPOCA D'ORO DELLA CASA L'AMERICA SCOPRE I PIGNORAMENTI
Il mercato immobiliare USA ha registrato un forte boom dei prezzi delle case fino al 2006. La domanda di abitazione ha "drogato i prezzi: dal 1997 al 2006 il valore delle case è salito del 124%. Questo però ha anche fatto aumentare l'indebitamento delle famiglie esposte a mutui sempre più pesanti per comprare casa.Il boom immobiliare comincia a registrare un rallentamento dal 2005. Il ribasso ha causato un aumento dei pignoramenti delle case, i cui proprietari non erano più in grado di far fronte alle rate dei mutui: secondo stime del Senato USA, 71 miliardi di dollari di ricchezza immobiliare andranno in fumo a causa di pignoramenti e calo dei prezzi.

2) MUTUI SUBPRIME VANNO IN SOFFERENZA

Il ribasso dei prezzi delle abitazioni, unito all'aumento dei tassi di interesse,mette ben presto in difficoltà le famiglie USA. In un primo momento vanno in crisi le famiglie poco abbienti,quelle che avevano stipulato i cosiddetti muti subprime, concessi ai clienti ritenuti meno solvibili, poi le difficoltà si allargano anche a quelle economicamente più solide: nel 2007 il tasso di insolvenza sale a quasi un cliente su sei.
All'inizio le banche non riescono a valutare correttamente questi segnali negativi come un problema. Il motivo di questa incapacità è che i mutui subprime sono quasi tutti "cartolarizzati". Questo significa che le banche li hanno "impacchettati" in obbligazioni (denominate Asset Backed Securities, Abs ) che sono state vendute agli investitori. Insomma: gli istituti di credito hanno ceduto i mutui -e i loro rischi - ad altri investitori, "spalmandoli" su più società. Pensavano così di averli ridotti, ma si sbagliavano.

3) LE CARTOLARIZZAZIONI ENTRANO IN TILT

Molti economisti confidavano nel fatto che le cartolarizzazioni avrebbero "sparpagliato" i rischi. Ma la tesi si dimostra subito errata. I rischi sono stati infatti moltiplicati,non ridotti. Le Abs sono state infatti in gran parte "reimpacchettate" da altre banche in altre obbligazioni (i cosiddetti Cdo, Colladeralised Debt Obligation) il cui valore ammonta ad altri 3mila miliardi di dollari. Morale: il rischio subprime è arrivato in tutto il mondo attraverso questi bond.
Questa incertezza manda in poco tempo in tilt il mercato delle cartolarizzazioni,anche quelle che non hanno nulla a che fare con i subprime. Nessuno le vuole più compare, i prezzi crollano (anche più dell'80%), per chi le possiede le perdite sono di miliardi di dollari.

4) SEMPRE PIU' OBBLIGAZIONI AD ALTA TENSIONE

Mentre si "congela" il mercato delle cartolarizzazioni, la crisi di propaga a tutte le obbligazioni. Gli investitori, per panico e per fare cassa, vendono anche azioni e bond aziendali. Le vendite fanno crollare i prezzi, spingendo i rendimenti verso l'alto. Le obbligazioni cosiddette distressed (quelle che a causa delle vendite hanno rendimenti del 10% superiori a quelli dei titoli di Stato) si moltiplicano. Alle cartolarizzazioni in crisi si affiancano quindi anche i bond aziendali ad alto rischio.

5) LE PRIME VITTIME: LE BANCHE USA ED EUROPEE

Le banche sono le prime a soffire perchè sono tra i principali acquirenti di titoli spazzatura. Non solo, molte banche hanno comprato bond cartolarizzati anche attraverso speciali società-veicolo fuori bilancio, chiamate Conduit e Siv. Questi "veicoli societari" hanno acquistato i bond cartolarizzati usando un forte "effetto leva", indebitandosi cioè in modo esponenziale. Morale: la leva, che per anni aveva moltiplicato i guadagni ora si ritorce contro i "veicoli". Le banche devono quindi intervenire e "salvarli" , ma così facendo inglobano nei propri bilanci le loro perdite. Il crollo delle cartolarizzazione e i salvataggi dei "veicoli" causano quindi pesanti perdite per le banche.

6) LA CRISI ARRIVA IN BORSA

La crisi esplode subito in Borsa. Gli investitori fanno cassa per racimolare liquidità e quindi vendono su tutti i listini. Dall'inizio della crisi dei mutui (luglio 2007), al crack di Lehman Brothers le Borse di tutto il mondo hanno bruciato oltre 17mila miliardi di dollari. Le vendite colpiscono soprattutto le azioni delle banche e i titoli finanziari. In forte tensione anche le assicurazioni. Ma le vendite colpiscono tutti i settori,anche quelli non legati ai mutui subprime. Da un lato, la crisi pesa sulla congiura e dunque sui consumi, dall'altro gli istituti di credito in crisi e i fondi - colpiti dai riscatti - sono costretti a vendere tutti i titoli liquidi che hanno in portafoglio.

7) POLIZZE ANTI-DEFAULT, BRIVIDI DA CONTROPARTE

La crisi arriva infine al mercato dei prodotti finanziari derivati chiamati Credit Default Swap (Cds). Si tratta in sostanza di "polizze" usate dagli investitoti per assicurarsi contro l'insolvenza delle obbligazioni: chi compra paga un "premio" a una controparte (per esempio una banca) per garantirsi contro il rischio di default di un bond che ha in portafoglio.
Se il bond finisce in default, la controparte è obbligata a rimborsarlo al posto dell'emittente. I principali venditori di Cds, cioè le principali controparti, sono banche, hedge fund e assicurazioni, sulle cui spalle si concentrano quindi i maggiori rischi. Dato che questi soggetti sono già in crisi, gli investitori iniziano a temere che non siano più in grado di farsi carico di eventuali perdite di obbligazioni in default. Per annullare i rischi, le Autorità di vigilanza intendono creare una "controparte centrale" per i Cds,ma questa proposta non è ancora stata realizzata.

8) LE BANCHE NON SI FIDANO L'UNA DELL'ALTRA

Le difficoltà delle istituzioni finanziarie creano una pesante crisi di fiducia. Le banche iniziano ben presto a non fidarsi l'una dell'altra: per questo non si prestano pi soldi sul mercato interbancario. Quando lo fanno, applicano tassi d'interesse elevatissimi. Si crea quindi una crisi di liquidità pesante soprattutto per le banche più "chiacchierate".
Ma coinvolge anche i mutui delle famiglie italiane, agganciati proprio ai tassi interbancari come l'Euribor, che tornano ai livelli degli Anni '90.
Per arginare la mancanza di liquidità, le Banche centrali hanno più volte iniettato miliardi sul sistema interbancario.

"La Grande Crisi. Domande e Risposte", allegato a "Il Sole 24ore"del 28 Ottobre 2008

La Crisi del '29 in Cifre

Se si pone pari a 100 l’indice generale dei prezzi dei titoli alla borsa di New York nel 1922, nel 1927 risulta raddoppiato e nel 1929 passa a 580. Improvvisamente sulla frenesia speculativa americana si abbatté la crisi dell’autunno del 1929. Allora le quotazioni ampiamente sopravvalutate di titoli crollarono in modo estremamente rapido. Naturalmente economisti e uomini politici si erano resi conto che la speculazione stava degenerando, ma nessuno aveva osato imporre misure tendenti a ridurla, temendo il contraccolpo deflazionistico che ne sarebbe derivato. La corsa al rialzo subì un rallentamento nel settembre 1929 e attorno al 20 ottobre iniziò la caduta di molti titoli. Il 24 ottobre, il famoso “giovedì nero” quasi 13 milioni di titoli cambiarono proprietario a prezzi sempre più bassi. Nel primo pomeriggio i grandi banchieri di New York tentarono di arrestare il crollo, ma la manovra si rivelò inefficace di fronte alla portata della crisi. Il martedì 29 non si trovarono più compratori per svariati gruppi di titoli e i grandi banchieri abbandonarono la politica di sostegno. Ciò indusse le banche di provincia a ridurre o annullare i prestiti ai borsisti, aggravando la crisi. Il panico divenne allora generale e degenerò in comportamenti irrazionali. Pare che, nel solo mese di ottobre, le perdite registrate sui titoli quotati alla borsa di New York siano ammontate a circa 32 milioni di dollari. La caduta continuò nei mesi successivi, praticamente fino al 1932, quando molte azioni valevano solo più 1/5 o 1/10 o addirittura meno dei valori raggiunti nel 1929


martedì 16 dicembre 2008

Un passo indietro nel tempo: martedì 24 ottobre 1929

Nel 1929 scoppiò negli Stati Uniti una grave crisi borsistica, alla quale fece seguito una depressione durata alcuni anni. Fu diversa dalle crisi precedenti per alcuni motivi. Si trattò di una crisi " universale", nel senso che, a differenza di quelle precedenti:

1)colpì tutti i paesi capitalistici
2)coinvolse tutti i settori dell'economia
3)ebbe effetti su tutte le categorie sociali.

La crisi esplose alla borsa di New York il 24 Ottobre del 1929. Durante l'euforia degli anni ' 20, oltre agli investitori tradizionali avevano cominciato a investire in azioni anche molti risparmiatori, che poi furono presi dalla frenesia speculativa. A ciò erano stati incoraggiati dalle banche americane che, per consentire l'acquisto di azioni, concedevano prestiti facili, e dalle holding che, possedendo azioni, spinsero in tutti i modi il loro valore verso l'alto anche ricorrendo all'aggiotaggio. Quando il valore delle azioni, giunto a livelli elevatissimi comincia a scendere per mancanza di acquirenti, all'euforia succede il panico e tutti si precipitano a vendere i titoli azionari in loro possesso per ridurre il danno prima che il prezzo cali ulteriormente. La mattina del 24 Ottobre (Giovedì Nero) furono messe in vendita tredici milioni di azioni con pochi acquirenti e il loro prezzo cominciò a precipitare. Chi aveva investito i suoi risparmi fu rovinato, così come lo furono parecchie banche e aziende che avevano concesso prestiti agli speculatori o avevano esse stesse investito grosse somme. La crisi di borsa tuttavia non spiega la depressione successiva, poichè l'economia mondiale soffriva di squilibri profondi, cioè la sovrapproduzione latente divenne palese in tutti i settori dell'economia e molti prodotti non riuscirono più ad essere ricollocati sul mercato. In pochi anni la produzione industriale americana si dimezzò. Molte fabbriche chiusero e la disoccupazione dilagò. Le banche non riuscirono a recuperare i prestiti concessi alle imprese e ne fallirono a migliaia. Dagli Stati Uniti la depressione si diffuse in altri paesi (Europa) tramite gli scambi internazionali e per il ruolo predominante che quel paese aveva nell'economia mondiale.

Fra la crisi attuale e quella del ’29 vi sono caratteristiche molto simili. Nel cercare una soluzione alla crisi, politici ed economisti di schieramento opposto vanno maturando un consenso “bipartisan”, che è quello di evitare di commettere gli stessi errori compiuti quasi 80 anni fa, dopo il crollo di Wall Street. L’illusione, un po’ consolatoria, è di sapere sulla base della lezione del passato che cosa in teoria c’è da fare. Si dimentica, però, che fra il ’29 e il 2009 vi sono anche significative differenze, di cui è opportuno essere a conoscenza...